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La sentenza 26 ottobre 2021, n. 16720 del Tribunale di Roma affronta il caso, a dire il vero piuttosto ricorrente, dell’installazione di un ascensore in un edificio quando viene contestata da altri condomini che ritengono di subire un pregiudizio per le loro unità immobiliari.

L’aspetto critico di questa problematica è quello di stabilire il limite oltre il quale pregiudizio lamentato diventa illegittimo e quindi si può impedire la costruzione dell’impianto.

Installazione dell’ascensore: normativa applicabile e necessità della verifica dei pregiudizi

Come è avvenuto nel caso esaminato dalla sentenza romana, si rivela fondamentale l’accertamento compiuto dal consulente tecnico d’ufficio, che di norma viene nominato dal Giudice in questo genere di giudizi.

Il caso esaminato riguarda una delibera di installazione di ascensore in una chiostrina condominiale – necessario per sopperire alle esigenze di un portatore di handicap – la cui conformazione è tale da violare le distanze legali (tre metri) e pregiudicare l’appartamento del primo piano dotato di tre finestre, affacciate sulla chiostrina stessa, costituenti le uniche aperture del soggiorno con angolo cottura, della camera da letto e del bagno, che risultano così totalmente o parzialmente coperte dalla struttura dell’impianto.

Di norma in questi casi il danno lamentato dal condomino proprietario dell’unità oscurata viene riferito alla diminuzione di utilizzo dell’unità immobiliare interessata, oltre che alla (conseguente) riduzione del suo valore commerciale, anche in considerazione della possibile perdita dei requisti indispensabili per ottenerne l’agibilità.

Installazione dell’ascensore: il principio di solidarietà condominiale

Il tribunale romano ha innanzitutto puntualizzato che la normativa di riferimento (legge 9 gennaio 1989, n. 13) prevede che le innovazioni da attuare negli edifici privati e dirette ad eliminare le barriere architettoniche possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interne ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati (art. 3).

La sentenza ha poi ricordato alcune recenti decisioni emesse dalla Corte di Cassazione secondo cui nel condominio, l’installazione di un ascensore su un’area comune, diretta ad eliminare le barriere architettoniche, rientra fra le opere indicate dall’art. 27, comma 1, della legge n. 118/1971 e dall’art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 384/1978, e, pertanto, costituisce un’innovazione approvabile, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 13/1989, dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c., mentre, nel caso di deliberazione contraria oppure omessa entro il termine di tre mesi dalla richiesta scritta, può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, nel rispetto dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c. (art. 2, comma 3); ma, secondo queste decisioni, la verifica della sussistenza di tali requisiti deve tenere tenendo costo anche del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali sono inclusi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, che costituisce un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di queste persone, degli edifici interessati e che conferisce legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non lo elimina del tutto, almeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. 9 marzo 2017, n. 6129); e secondo cui inoltre la legge n. 13/1989 costituisce l’espressione di un principio di solidarietà sociale perché persegue finalità di carattere pubblicistico dirette a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, con la conseguenza che la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi da una disposizione del regolamento condominiale che subordini l’esecuzione dell’opera all’autorizzazione da parte del condominio, dato che una simile norma passa in secondo piano rispetto al compimento di lavori indispensabili per un’effettiva abitabilità dell’immobile, e quindi si deve verificare soltanto il rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c., che peraltro devono essere applicati alla luce del principio di solidarietà condominiale (Cass. 28 marzo 2017, n. 7938).

In base ai principi appena ricordati il tribunale romano ha ribadito che la normativa prevista dalla legge n. 13/1989 costituisce l’espressione di un principio di solidarietà sociale con specifiche finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici, perché si deve valorizzare, in primo luogo, l’effettiva abitabilità dell’immobile e, a tal fine, si deve verificare solo il rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c., alla luce del principio di solidarietà condominiale.

Installazione dell’ascensore: l’esame delle sue conseguenze

Premesso che l’ascensore era destinato all’utilizzo di una persona dichiarata portatrice di handicap ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge n. 104/1992 (legge sui diritti delle persone handicappate), il tribunale ha rilevato che dalla relazione del consulente tecnico era risultato che:

  • con riguardo alle valutazioni prescritte dall’art. 1102 c.c. l’installazione dell’ascensore nella chiostrina era avvenuta a discapito dell’appartamento del primo piano al quale impediva di aprire, verso l’esterno, le grate e la finestra della cucina e di ricevere l’areazione e l’illuminazione naturale nell’ambiente posto a ridosso del nuovo vano ascensore, anche se l’areazione fornita dalla finestra del bagno risultava comunque sufficiente a garantire il rapporto di 1/8 tra superficie della finestra e superficie in pianta del bagno imposta dal Regolamento Edilizio del Comune di Roma;
  • con riferimento invece all’areazione e all’illuminazione naturale, dato che la cucina era posta in posizione indiretta (nel senso di non essere la finestra affacciata sulla chiostrina in diretto contatto con la cucina stessa), essendo decentrata, non era idonea a soddisfare lo standard igienico sanitario della superficie finestrata, pari a 1/8 dei locali da servire, e quindi anche quando non vi era il vano ascensore, mancava il requisito per l’illuminazione e l’areazione della cucina;
  • non sussistevano né violazione del decoro architettonico dell’edificio provocata dalla presenza dell’ascensore, né pericoli di perdite di gas e per la statica dell’edificio, dato che eventuali azioni sismiche orizzontali non potevano essere trasmesse in maniera significativa alle murature portanti;
  • con riguardo infine alle norme sulle distanze e vedute, anche in precedenza la finestra a servizio della cucina aveva una distanza dal muro opposto inferiore ai tre 3 metri e, pur avendo l’installazione dell’ascensore reso impossibile la veduta, intesa come affaccio, tuttavia la chiostrina non era comunque idonea in alcun modo per esercitare l’affaccio stesso.

Di conseguenza il Tribunale ha deciso che, anche alla luce delle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d’ufficio sulla mancata conformità a quanto previsto dall’art. 1102 c.c., trova prevalenza il principio di solidarietà sociale con specifiche finalità di carattere pubblicistico che emerge dalle disposizioni della legge n. 13/1989; e che quindi anche la verifica del rispetto dei limiti previsti dall’art. 1102 c.c. deve avvenire alla luce del principio di solidarietà condominiale.

Può essere utile ricordare che una soluzione di compromesso in questa problematica può essere, pur riconoscendo la legittimità della realizzazione dell’opera, quella di attribuire al condomino proprietario dell’unità immobiliare che risulta danneggiata, un qualche modo, dall’installazione dell’ascensore (tenendo in considerazione comunque anche la rivalutazione economica che tutte le unità immobiliari ritraggono dalla nuova opera) un risarcimento pecuniario, valutato equitativamente sulla base delle specificità della situazione; e si tratta di una soluzione che è già stata adottata in qualche decisione di merito, come, ad esempio, Corte di Appello di Genova, 13 dicembre 1997, n. 911.

Installazione dell’ascensore: le decisioni precedenti

Nella sentenza del tribunale romano sono citate due recenti decisioni della Suprema Corte di Cassazione, ma le pronunzie emesse sull’installazione dell’ascensore e sulla normativa sulle barriere architettoniche sono ormai molto numerose.

Superata una fase iniziale di applicazione della nuova normativa sulle barriere architettoniche in cui la giurisprudenza era divisa fra l’interpretazione restrittiva dei limiti applicativi della disposizione sulla maggioranza agevolata prevista dalla legge speciale (sostenuta dalla parte minoritaria dei giudici di merito e anche dalla prima sentenza della Suprema Corte, Cass. 25 giugno 1994, n. 6109) e l’interpretazione estensiva dell’intero complesso delle nuove norme (propugnata invece dalla maggioranza delle decisioni di merito, pure con riferimento ad una decisione della Corte Costituzionale, Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 167, che peraltro si riferiva non in modo specifico alla legge n. 13/1989, ma alla disciplina sul passaggio coattivo a favore del fondo intercluso prevista dall’art. 1052 c.c.), a partire dalla sentenza Cass. 29 luglio 2004, n. 14384, hanno trovato una applicazione estensiva in modo sempre maggiore le previsioni contenute nella legge n. 13/1989, facendo più volte riferimento al principio di “solidarietà condominiale”.

Fra le più recenti pronunzie si possono ricordare:

  • Cass. ord. 5 dicembre 2018, n. 31462, secondo cui nei casi in cui non si deve procedere ad una ripartizione di spesa tra tutti i condomini, perché la spesa relativa ad una innovazione viene sostenuta interamente a proprio carico soltanto da uno o alcuni condomini, trova applicazione l’art. 1102 c.c., che si riferisce anche alle innovazioni ed in forza della quale ciascun partecipante si può servire della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e pertanto può pure apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune;
  • Cass. ord. 23 novembre 2018, n. 30455, che ha invece rigettato il ricorso di un condomino disabile, confermando la sentenza di appello nella parte in cui – con riferimento all’aspetto delle difficoltà (la cui sussistenza comunque era stata accertata in modo oggettivo), per una persona con ridotta mobilità, a raggiungere il nuovo locale di deposito dei rifiuti – aveva giudicato non consentito al Giudice di operare scelte di merito nell’ambito delle materie di competenza dei condomini;
  • Cass. ord. 24 gennaio 2019, n. 2050, secondo cui, riguardo all’accessibilità degli edifici e all’eliminazione delle barriere architettoniche, possono essere derogate le prescrizioni tecniche dettate dall’art. 8 del D.M. n. 236/1989 sulla lunghezza minima delle rampe delle scale (indicata nella misura di 1,20 metri);
  • Cass. 31 maggio 2019, n. 15021, la quale ha dichiarato non valida la deliberazione, pure se approvata ai sensi dell’art. 2 della legge n. 13/1989, che deliberi l’esecuzione di un impianto di ascensore pregiudizievole per la sicurezza e la stabilità dell’edificio quando non è conforme alle prescrizioni antincendio; e che invece la sussistenza di alcune difformità rispetto alle prescrizioni tecniche dettate dal D.M. n. 236/1989 non pregiudica l’utilizzo dell’ascensore e la sua funzione di agevolare l’accesso alle proprietà esclusive, dato che – per soddisfare il senso e lo spirito della legge sulle barriere architettoniche – è sufficiente che l’impianto attenui i disagi sofferti dai disabili, indipendentemente dalla necessità di utilizzare anche le scale per giungere alle abitazioni.