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La canna fumaria spesso è oggetto di discussione in condominio, soprattutto quando è di proprietà di un singolo. Altrettanto spesso questi litigi vengono portati in sede contenziosa, non trovando una soluzione amichevole tra le parti.

È la volta del Tribunale di Torino con la sentenza n. 400 del 3 febbraio 2022.

Il caso è presto raccontato.

Canna fumaria, dove, quando e perché: Il caso di specie

Con atto di citazione l’attore, proprietario di una unità immobiliare sita al piano terreno del condominio, conveniva in giudizio il condominio per sentire dichiarare il proprio diritto e facoltà di collocare, a proprie spese, fino a due canne fumarie di diametro interno di cm. 30 ciascuna, con ingombro massimo di cm. 35 ciascuna, che si dipartissero all’esterno della relativa unità immobiliare, dal lato cortile, per poi elevarsi in parallelo ed a ridosso del vano ascensore che insisteva nella corte comune in appoggio al muro perimetrale, uniformando forma e colore del rivestimento delle suddette canne fumarie a forma e colore di detta cabina ascensore, o in quella diversa collocazione meglio vista, e comunque adottando gli accorgimenti necessari a preservare il decoro architettonico del fabbricato.

Evidenziava che la sua unità immobiliare era servita in passato da una pluralità di canne fumarie che nel tempo erano state occluse da terzi senza il suo consenso ed a sua insaputa verosimilmente nel corso di lavori di manutenzione e ristrutturazione delle singole unità immobiliari.

Il decoro architettonico dell’edificio, aspetti teorici e problematiche applicative

Aveva pertanto interessato l’Amministratore del condominio affinché si attivasse perché i singoli condòmini rendessero accessibili le proprie unità immobiliari per l’ispezione ed il ripristino delle dette canne fumarie; contestualmente aveva prospettato altro intervento, più oneroso ma di modesto impatto, che consisteva nella realizzazione, all’esterno del proprio locale, di uno o più condotti che, dipartendosi dal lato della proprietà attorea che si affaccia sul cortile condominiale, si elevino nella corte comune a ridosso della struttura all’interno della quale è collocata la cabina dell’ascensore. Domandata la convocazione dell’assemblea condominiale la sua richiesta era stata disattesa.

Non si costituiva in giudizio il Condominio nonostante la rituale notifica dell’atto introduttivo.

Dopo aver svolto l’attività istruttoria la causa veniva trattenuta a decisione.

Il Giudice dichiara subito che la domanda è infondata.

Applicazione dell’art. 1102 c.c.

Il Giudice rileva che la giurisprudenza è consolidata nell’affermare che l’utilizzazione con impianti destinati a servizio esclusivo di un’unità immobiliare di proprietà individuale di parti comuni dell’edificio condominiale, come nel caso in esame, esige il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c.

Questa norma è riferibile anche al condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. alla normativa in tema di comunione, per quanto compatibile.

La disposizione in esame vieta al singolo partecipante alla comunione di attrarre la cosa comune nell’orbita della propria disponibilità esclusiva mediante un uso particolare e l’occupazione totale e stabile e di sottrarlo in tal modo alle possibilità attuali e future di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa (Cass. 2008 n. 26737).

Criteri di valutazione dei singoli casi

Grazie alla giurisprudenza si possono individuare i criteri in base ai quali effettuare la valutazione delle condotte individuali che superano i limiti di legittimità stabiliti dall’art 1102 c.c. ovvero quali siano i comportamenti dei singoli condòmini nell’utilizzo delle parti comuni dell’edificio da considerarsi abusivi.

L’articolo in questione così recita al primo comma: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”.

Già da una attenta lettura si comprende che occorre il rispetto di una duplice condizione:

a) non devono essere realizzate modificazioni (nel senso che il comunista non può da solo stabilire, né alterare la destinazione originaria della cosa comune);

b) deve essere rispettato il pari godimento degli altri condòmini.

A rendere illecito l’uso basta il mancato rispetto dell’una o dell’altra prescrizione (Cass. 24 agosto 2012, n. 14633; Cass. 21 settembre 2011, n. 19205), pur essendo consolidato l’orientamento per cui tra i due limiti, quello che concerne il divieto di alterazione della destinazione è considerato in posizione di preminenza, potendosi salvaguardare gli interessi degli altri condòmini solo col rispetto della destinazione impressa alla cosa comune.

Ed allora si ritiene che siano legittime quelle condotte con le quali il singolo si serva della cosa comune senza alterarne la destinazione: questa prima parte della disposizione introduce un criterio oggettivo di valutazione in quanto considera l’uso che della cosa comune è stato fatto dal singolo condòmino in relazione alla destinazione oggettiva assegnata alla stessa nell’ambito dell’edificio condominiale sancendone l’abusività quando non è conforme alla destinazione “condominiale” della cosa comune.

Al pari, sono legittime quelle condotte che, incidendo sulla cosa comune in conformità alla sua destinazione oggettiva, non impediscano o ostacolino agli altri comproprietari la possibilità di farne un uso analogo. Qui il criterio è invece relativo perché va considerato in relazione all’uso che gli altri possano fare del medesimo bene in comunione.

Ne discende che è abusivo il comportamento del singolo che non permette agli altri condòmini di farne uso secondo il proprio diritto. La relazione è tra l’abuso del singolo e l’uso secondo diritto che gli altri condòmini potrebbero farne perché si connota di abusività il comportamento individuale che non consente un analogo utilizzo della cosa da parte degli altri.

Stanti tutti questi presupposti, il Tribunale conclude affermando che la domanda attorea è non ricevibile perché finalizzata a realizzare un uso illegittimo della cosa comune.

Ciò perché la richiesta ha ad oggetto l’appoggio di due canne fumarie delle dimensioni dette in precedenza sul vano ascensore: la futura installazione in appoggio alla struttura che contiene l’ascensore condominiale di due canne fumarie di 30 cm di diametro a servizio esclusivo dell’unità immobiliare dell’attore sita al piano terra non supera il vaglio di legittimità effettuato in applicazione dei criteri dell’art 1102 c.c.

Il Giudice cala le sue motivazioni sul caso di specie alla luce della predetta norma.

Il primo criterio di valutazione, quello oggettivo della non alterazione della destinazione della cosa comune su cui insisterebbero le due canne fumarie, non è affatto rispettato essendo pacifico che la destinazione della struttura dell’impianto condominiale dell’ascensore nulla ha a che vedere con l’appoggio di una o più canne fumarie.

Il vano ascensore, e la struttura che lo contiene, sono destinati alla protezione e alla funzionalità dell’elevatore e alla sicurezza di coloro che se ne servono.

Nessuna connessione si rinviene con l’utilizzo quale appoggio di canne fumarie ad uso esclusivo del proprietario dell’unità immobiliare del piano terreno.

Diverso sarebbe se l’appoggio venisse praticato sul muro perimetrale dell’edificio, non valendo come mutamento di destinazione dello stesso ma uso più intenso.

Non vi è chi non veda la differenza tra l’appoggio sul muro perimetrale costituente la facciata condominiale e l’appoggio sul manufatto che contiene l’ascensore a sua volta costruito in appoggio sulla facciata interna del condominio.

Esclusivamente nel primo caso si può considerare conforme alla destinazione del muro perimetrale la possibilità di costruzione in aderenza o in appoggio della canna fumaria mentre nessuna destinazione a contenere le condutture, accessorie all’impianto di smaltimento dei fumi, a servizio della singola unità può aversi nel vano del comune ascensore.

Il Giudice procede poi a verificare il rispetto del secondo divieto indicato dall’art 1102 c.c., cioè quello di non impedire o ostacolare la possibilità degli altri proprietari di fare un uso analogo della cosa comune.

Anch’esso non è rispettato se si considera l’eventualità, non remota considerando l’inutilizzabilità delle canne fumarie condominiali già esistenti ma ostruite secondo le allegazioni dello stesso attore, che ciascun condòmino installi una propria canna fumaria delle medesime dimensioni e sulla medesima struttura, la quale ha una superficie limitata e non consente, ammesso che tale uso sia conforme alla normativa in materia di sicurezza degli edifici e di quella sanitaria, l’analogo utilizzo da parte di tutti i condòmini.

Sarebbe possibile solo una analoga installazione, da consentire ad un solo altro condòmino che potrà utilizzare la restante metà del vano ascensore lasciata libera dall’intervento del quale oggi è richiesta l’autorizzazione.

La conclusione è che la domanda di parte attrice è infondata perché l’intervento prospettato non

rispetta i divieti posti dall’art 1102 c.c. e deve, quindi, essere respinta.