Secondo l’art. 1129 c.c., l’incarico dell’amministratore di condominio ha durata annuale, rinnovabile tacitamente una sola volta per un pari periodo di tempo, secondo quindi una formula che potremmo così schematizzare: 1 + 1.
Alla cessazione del proprio mandato, l’amministratore uscente deve provvedere al passaggio di consegne, cioè a rendere tutta la documentazione in suo possesso al condominio o meglio all’amministratore subentrante.
Non sempre, però, l’avvicendamento tra un amministratore e un altro avviene senza soluzione di continuità. In questi casi, l’amministratore uscente resta in carica almeno per la gestione ordinaria dell’edificio, dando vita a ciò che viene comunemente definito “regime di prorogatio imperii“.
Nel prosieguo del presente articolo affronteremo proprio questo argomento, cercando di comprendere se l’amministratore ad interim del condominio è una figura diversa da quello che opera in prorogatio.
Chi è l’amministratore ad interim del condominio?
Solitamente, con l’espressione “amministratore ad interim” ci si riferisce all’amministratore uscente che, in via temporanea, continua ad occuparsi della gestione ordinaria dell’edificio in attesa di un successore che prenda il suo posto.
In buona sostanza, l’amministratore ad interim è l’amministratore che agisce in regime di prorogatio imperii, secondo quanto previsto dall’ottavo comma dell’art. 1129 c.c., a tenore del quale «Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi».
Questa interpretazione, pur essendo decisamente prevalente, non è tuttavia l’unica.
Secondo alcuni, infatti, l’amministratore ad interim sarebbe il condomino (o altro soggetto) che, cessato l’incarico dell’amministratore, decide di farsi carico della gestione condominiale in attesa della formale nomina di un altro amministratore.
In questo senso, l’amministratore ad interim, non essendo un “vero” amministratore ma solo una sorta di supplente o vicario, non avrebbe necessità di essere nominato con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’art. 1136 c.c., cioè a maggioranza dei presenti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio.
L’amministratore ad interim potrebbe quindi essere nominato a maggioranza semplice, solo per far fronte alla temporanea assenza di un “vero” amministratore.
Da tanto deriverebbe che l’amministratore ad interim nemmeno sarebbe obbligato a possedere i requisiti di onorabilità e professionalità sanciti dall’art. 71-bis disp. att. c.c.
Chi avalla questa tesi fa perno sull’originario significato attribuito a queste due espressioni (“ad interim” e “prorogatio imperii”), entrambe mutuate dal diritto pubblico.
Il termine prorogatio sta ad indicare la continuità del mandato dell’organo dimissionario, revocato o in scadenza di mandato, fino a che non venga nominato il successore.
Con l’espressione ad interim, invece, si indica la assunzione temporanea della gestione dei poteri da parte di un soggetto diverso da chi li deteneva precedentemente e cessato dalla carica, in attesa della nomina del nuovo incaricato.
Si pensi al Presidente del Consiglio dei Ministri che assume “ad interim” un dicastero in attesa della nomina di un Ministro che ne assuma formalmente la titolarità.
La tesi della diversità tra amministratore ad interim e amministratore in prorogatio, tuttavia, non trova legittimazione in alcun addentellato normativo.
Non esiste una norma di legge, infatti, che consente di affidare la gestione dell’edificio a un soggetto diverso dall’amministratore regolarmente nominato dall’assemblea secondo quorum inderogabili.
Ammettere la possibilità che l’assemblea, in via temporanea e d’urgenza, anche a maggioranza semplice, possa affidare la gestione dell’edificio a un soggetto diverso dall’amministratore è impensabile, soprattutto a seguito della riforma del diritto condominiale del 2012.
Nemmeno l’assemblea potrebbe adottare un regolamento che preveda tale figura, cioè un amministratore ad interim diverso da quello in prorogatio, attesa l’inderogabilità dell’art. 1129 c.c. (cfr. art. 1138 c.c.).
Insomma, deve necessariamente concludersi asserendo che amministratore ad interim e amministratore in prorogatio sono la medesima cosa.